L’incontro

L’incontro: un «racconto da camminare» a Casaprota (RI).

Ho sviluppato l’idea di un «racconto da camminare» per combinare i due modi in cui veniamo a conoscenza di un luogo: l’esperienza fisica di trovarci in un luogo e la narrazione di storie, che dà un significato particolare al luogo stesso.

L’incontro è un racconto immaginato ma basato su un evento storico: la marcia di Garibaldi lungo la vecchia via Salaria a Roma nel 1849 per difendere la seconda Repubblica Romana contro le truppe francesi.

Il racconto, ambientato nei luoghi importanti di Casaprota, è stato pubblicato nei vari punti del borgo in cui l’azione si svolge. «Camminare il racconto» diventava quindi un’opportunità per scoprire il paese attraverso un evento storico immaginato.

É stato installato nel borgo durante una residenza d’artista al Palazzo del Gatto di SabinARTi, è presentato la sera del 27 maggio 2017. Circa quaranta persone, guidate da due tamburini, hanno «camminato il racconto», letto da due attori.

Lo sviluppo del progetto è stato registrato in un blog in italiano e inglese.

È una bella giornata primaverile nell’anno di nostro Signore 1849, nella breve vita della Repubblica Romana. Un gruppo di soldati arriva in un villaggio della Sabina, alla ricerca di giovani volontari da arruolare per combattere con Garibaldi contro le truppe francesi, in difesa della nuova repubblica. Segue un breve incontro tra i soldati e i paesani, che hanno esperienze e storie diverse, e idee di appartenenza contrastanti.

L’incontro ha anche un altro significato: è l’incontro di uno scrittore australiano con il paese di Casaprota e con la storia del Risorgimento, che si traduce in una storia italiana.

1 Piazza del Municipio

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò… Appena udirono il canto, capirono di che si trattava. La canzone non era ancora nota, ma il sentimento era fin troppo evidente.

Quattro forti voci maschili: la prima era audace e piena di fiducia; la seconda melodiosa, una voce che avrebbe preferito una ballata a una bella donna in una notte stellata; la terza, traboccante di entusiasmo giovanile, diceva: «Niente ci potrà fermare!» Anche l’ultima era giovanile, ma più delicata, più dolce, era una voce raffinata, come se il cantante assaporasse ogni parola.

E poi, apparvero i soldati, cantando più forte, avanzando su per la collina. Istintivamente i paesani in piazza si strinsero l’uno contro l’altro, gli uomini anziani in piedi davanti alle donne, i bambini che sbirciavano da dietro le gonne delle madri.

– I cappelli! – gridò un bambino. – Guardate i loro cappelli!

I cappelli dei soldati erano molto particolari ma davvero magnifici: cappelli alti con la falda abbassata, ornati con piume di struzzo, un tipo di cappello da palcoscenico lirico.

Ma i soldati non sembravano personaggi di un’opera, sembravano dei briganti con le loro barbe incolte, pistole e pugnali infilati nei cinturoni, e i vestiti coperti di polvere di strada.

Il canto si concluse in un clamoroso «Sì!», e i soldati si fermarono sui gradini che portavano alla chiesa, dove potevano essere al di sopra dei paesani. Uno di loro alzò una mano per chiedere silenzio, un gesto poco necessario perché nessuno si mosse, nessuno parlò, nemmeno i bambini. L’ufficiale, un certo Capitano Angelo Barbieri, detto «il Bolognese», estrasse dalla tasca un proclama e lo srotolò. Giocherellò con la carta per un attimo e i paesani videro che gli mancavano due dita.

Poi, in piedi con le gambe divaricate, il petto in fuori, la voce forte e ferma, il Bolognese cominciò a parlare. – Fratelli! Madri dei patrioti italiani! Dateci i vostri figli! La Repubblica Romana ne ha bisogno!…

La notizia dell’arrivo dei soldati si diffuse rapidamente e interruppe la vita quotidiana nel paese. All’inizio la folla in piazza era piuttosto piccola, ma presto cominciò ad aumentare. Il sarto mise giù le forbici; il falegname, il cesello; i negozianti chiusero i negozi e andarono in fretta in piazza per unirsi alla folla. Nelle case intorno alla piazza alcuni sbirciavano di nascosto dalle finestre del primo piano, e altri, avendo sentito che «erano arrivati i briganti», si chiusero dentro.

– Non si potrebbe essere più orgogliosi che avere un figlio che dà la propria vita alla patria…! – gridò il Bolognese. – È meglio avere figli infelici che codardi! Quando i codardi si sposano, producono altri codardi, generazioni e generazioni di codardi…!

Intimiditi, in silenzio, i paesani ascoltavano il discorso. Erano tutti uguali i discorsi del Bolognese: si appellava al patriottismo, derideva i «codardi» e prometteva che un’Italia unita sarebbe diventata un paese di cui essere orgogliosi. Il Bolognese parlava spesso di socialismo, qualche volta criticava i preti, ma in ogni discorso c’entrava sempre Garibaldi. Aveva sentito gran parte dei discorsi del suo eroe e ne aveva assunto certe espressioni ricorrenti. Le usava in qualunque occasione, ma a ciascuna dava una particolare enfasi.

Nella folla alcuni paesani si stavano arrabbiando, il soldato aveva parlato per quindici minuti senza menzionare Dio o il papa. Poi intervenne una donna con tono provocatorio, – Ma voi siete contro il papa!

Il grido sembrava incoraggiare la folla, altri gridarono. – Sono contro il papa!

– Non siamo contro il papa! – rispose il Bolognese. – Anzi, il papa è sacro. Mazzini ha garantito la sicurezza del papa! – Mise la mano sulla pistola, siamo armati, intendeva dire con quel gesto, siate avvertiti. Questi paesani sono tutti uguali, pensava lui, nonostante i secoli di oppressione del governo pontificio, non si ribellano mai contro il papa e neppure contro i preti. Sono come pecore! Ciò lo faceva arrabbiare ma lo intristiva anche, perché sapeva che solo la repubblica avrebbe potuto porre fine alla loro povertà. – Non siamo contro il papa! – ripeté. – Siamo contro l’ingiustizia! Siamo contro l’oppressione, siamo contro la povertà! Siamo socialisti!… Il socialismo è il sole dell’avvenire

Dietro la porta della chiesa, di nascosto dai soldati, Padre Celestino ascoltava. Non sentiva bene il discorso del soldato, ma ne comprendeva il sentimento. Aveva già sentito dire che i liberali inseguivano e deridevano i suoi confratelli in Romagna, e di come gli sputassero addosso e li bastonassero. È questo ciò che Dio vuole per lui? Essendo arrivato da Viterbo soltanto pochi mesi prima, non conosceva quasi nessuno a Casaprota e non sapeva di chi fidarsi. Ma nonostante il pericolo, sapeva ciò che doveva fare. – Appena partiti i soldati dalla piazza, – diceva a se stesso, – devo andare a mettere in guardia la contessa…

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