all the world’s futures

La Biennale Arte quest’anno (2015) s’intitola All the World’s Futures, un titolo sotto di cui quasi tutto può essere incluso senza problema. Le opere d’arte sopratutto che attirano la mia attenzione, però, riguardano un futuro del mondo che aveva già passato: il futuro di un mondo comunista. Quando ero giovane, mi consideravo comunista qualche volte, senza capire cosa significa ‘essere comunista’. Non avevo mai letto Il Capitale, e pensava che non avesse bisogna di leggerlo. ‘Essere comunista’ era la mia protesta contro la guerra in Vietnam, il capitalismo e gli uomini in giacca e cravatta. Oggi, questo grandissimo esperimento fallito del secolo XX è finito. L’epoca del comunismo è passata, ma anche non passato, ancora incorporato nelle vite di milioni.

Quest’arte proviene da Russia e Lituania: dalla Russia, An Archaeologist’s Collection, l’opera dall’artista Grisha Bruskin, installata in una chiesa in disuso a Cannaregio; dalla Lituania, Museum, l’opera dall’artista Dainius Liškevičius nel padiglione lituano a Palazzo Zenobio a Dorsoduro. Un sito archeologico e un museo: il comunismo come la storia lontana.

Palazzo-Zenobio

Il giardino del Palazzo Zenobio è uno dei luoghi tranquilli a Venezia. Spesso, quando ci vado, è vuoto. Questa volta non c’è nessuno in giardino e non ci sono visitatori nel padiglione lituano. Ci sono solo due uomini che sono immerso in una discussione, un professore americano e un uomo giovane, (un artista lituano, penso io). Parlano in inglese, ma io non ascolto la conversazione e loro non prendono alcun avviso di me.

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In Museum, Dainius Liškevičius ha fatto un assemblaggio dei oggetti diversi: un grande dipinto, un cortometraggio, i video e i disegni in stile fumetto, che combinano con gli oggetti, i libri e le foto dall’epoca sovietica per creare un ‘museo’ che è entrambi storico e personale. L’esperienza individuale e la società: «racconti autobiografici si fondono con memoria collettiva in un ciclo della storia».

In parte il museo è dedicato a certi lituani che hanno protestato contro l’occupazione sovietica, particolarmente Bronius Miagis, che nel 1985 ha distrutto il dipinto Danaë di Rembrandt nel Museo Hermitage con un coltello e una bottiglia di acido solforico. Questo è ricordato questa come un atto di vandalismo, ma Liškevičius riabilita Miagis, sostenendo che non era vandalismo, ma un atto di protesta, un momento importante nell’occupazione sovietica di Lituania.

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Foto: mousse

C’è un contrasto evidente tra i racconti autobiografici e gli oggetti personali, che sono simpatici e un po’ sentimentali, e le foto e i modelli delle abitazioni sovietici che sono entrambi banali e oppressivi. Sono attratto dagli oggetti personali di Liškevičius, ma molto affascinato dalle immagini dell’epoca: i condomini sovietici, gli affissi e gli oggetti banali di tutti i giorni. Esigono la mia attenzione, mi permettono di immaginare di vivere nella società comunista, di immaginare il dolore di essere lì.

Fuori in giardino arrivano più visitatori ma non rimangono a lungo. Seduto a panchina, comincio a scrivere nel mio diario…il contrasto tra la tranquillità del giardino e la storia nel museo. Bertolt Brecht, che era un marxista, ha detto una volta che il miglior modo di sconfiggere la tirannia è sopravvivere. Devo domandare: Quanti ne sono sopravvissuti? E cosa significa ‘sopravvivere qualcosa’?

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A Cannaregio, in una fondamenta tranquilla due passi dal campo dei Gesuiti, si trova la chiesa di Santa Caterina, oggi in disuso e senza ornamentazione. An Archaeologist’s Collection di Grisha Bruskin consiste delle sculture che erano state fatte come antiche sculture da due mille anni fa, erose, rotte, alcune di quelle in pezzi. Queste sono messe su un letto di sabbia con passerelle che traversano il sito e luce che è molto debole, quasi non abbastanza luce da vedere. Sembra come un vero sito archeologico, eccetto che queste ‘antiche sculture’ sono tutte le immagini dell’Unione Sovietica: il soldato sovietico, coraggioso e incorruttibile, la ragazza sovietica, forte, orgogliosa e bella, ma tutti sono erosi, rotte e in pezzi. Un video è proiettato su schermi sui muri di fini della chiesa: pagine da Il Capitale in diverse lingue, arabo, portoghese, vietnamita e altri, che si dice questa era un’ideologia universale, un’ideologia per tutti.

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Foto: Luigi Penello

La prima volta ho camminato attraverso l’installazione (era da solo) ha avuto un effetto fisico su di me. Era come se guardavo un momento buio della storia del mondo, come se scoprivo la verità di questa storia, che prima avevo capito solo superficialmente. Era sconcertante.

Il passato ma non passato. Un attentato dell’artista per rimettere l’esperienza della società sovietica in un tempo lontano? Un’osservazione di quanto rapidamente e come totalmente l’Unione Sovietica è crollata? Un promemoria che l’esperienza della società sovietica sarà per sempre una parte della storia europea? Tutti questi e più. Per me, quest’arte parla della tirannia dell’ideologia e dell’idealismo. Viviamo con questa sempre.

Non è la prima volta che sono stato attratto dall’arte dai paesi dell’ex blocco sovietico, particolarmente l’arte che riguarda l’esperienza di vivere nella società comunista. È vero che mi affascina l’epoca, forse perché va di là della mia esperienza. E penso che ci sia un altro motivo. Ci sono così tante opere d’arte alla Biennale Arte che riguardano «le grandi questioni del mondo», ma nella maggior parte dei casi, gli artisti non parlano per esperienza, la loro comprensione è in astratto. Mi sembra che c’è sempre molto più verità nell’arte che parla per esperienza; più verità e più vita e forse più bellezza.

Nota: An Archaeologist’s Collection è stato esposto in numerose gallerie prima di questa mostra alla Biennale Arte.

Santa-Caterina

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