– Bastardo!
– Bugiardo!
– Buco del culo!
Quelli andando alla Biennale fermano un momento, perplessi, divertiti, ridacchiando in imbarazzo. Una foto sul cellulare e poi se ne vanno. Nessuno interviene.
– Spaccone!
– Segaiolo!
– Brutto spaccone!
Una volta Angelo aveva lanciato un uovo al tedesco e il tuorlo ha scivolato sul suo viso come una lacrima d’oro. È stato un momento di pura meraviglia, il tedesco non aveva mai pianto prima.
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– Quando lo smetterai? Lascialo solo! Quest’ossessione con voi due mi sta facendo impazzire!
Nella sua piccola cucina in via Garibaldi, Carmelina, preparando il pranzo, affronta di nuovo suo padre. È lei che è più imbarazza dal loro litigio, a lui non sembra importare quello che pensano i vicini. Quando loro le chiedono, sempre con un sorriso furbo, «Come sta suo papà, Carmelina?», lei risponde sempre «Bene, grazie», ma è preoccupata che lui sarà ucciso un giorno, quello o finirà in galera.
– Non capisci…
– Capisco bene papà!
– Nessuno può ignorare la sua storia!
– È storia vecchia, va bene?
– È stato un grande errore di lasciare Wagner nei Giardini Pubblici dopo erigere il Monumento alla Partigiana! È stato un insulto a ogni veneziano, donne e uomini!
– Sono d’accordo, papà, va bene, ma è così, non c’è niente da fare!
Il Monumento alla Partigiana, la creazione dell’architetto meraviglioso, Carlo Scarpa, e artista, Augusto Murer, si situa sul bordo della laguna, appropriatamente vicino alla Riva dei Sette Martiri. Ogni anno, durante la Festa della Repubblica, Angelo e suo cugino Mario sono parte della folla riunita al monumento per rendere omaggio ai partigiani. Due anni fa, però, si sono resi conto che qualcuno li guardava durante tutta la cerimonia, qualcuno a cui non piacevano. Richard Wagner! Dal suo posto nei Giardini il tedesco guardava tutti di sotto con un’espressione di disprezzo. Ha fatto un sorrisetto, scosse la testa, e Angelo ha giurato di averlo sentito ridere quasi istericamente.
La situazione era insostenibile; bisognava fare qualcosa. Allora, il giorno seguente i due cugini hanno composto una lettera per il sindaco in cui suggerivano cortesemente che Wagner fosse spostato a un luogo meno pubblico e meno bene in vista, come un segno di rispetto per le famiglie dei partigiani veneziani, ma «Richard Wagner è una parte della storia di Venezia…» è venuta la risposta, e quello era tutto. Niente da fare. È sempre lo stesso a Venezia. La corruzione del progetto de MOSE? Niente da fare. La crisi degli alloggi? Niente da fare. Lo spaccone tedesco? Niente da fare.
– La Serenissima non è stata costruita con «niente da fare»!
– Non sto costruendo la Serenissima, ma cercando di tenerti fuori dal carcere!
– Non sarò mandato in prigione per difendere l’onore di Venezia!
– No, ma per essere insopportabile, sì! Papà, mi preoccupo per te. Non voglio che cammini passato i Giardini Pubblici più. Va a San Pietro invece. Il campo è bello.
– Allora, quello spaccone tedesco mi dice dove posso camminare? Non mai!
Ogni mattina quando fanno una passeggiata lungo il viale tra via Garibaldi e il parco a Sant’Elena, i due cugini passano Wagner che li fissa dal posto nei Giardini. Lanciano uno sguardo truce a lui. «Brutto spaccone!» Angelo borbotta. «Segaiolo!» sputa Mario. A volte, quando la loro rabbia diventa troppo, fermano e danno solo a lui. Bugiardo! Bastardo! Spaccone!…ma senza alcun risultato, Wagner mantiene un’espressione fissa del disprezzo. Si sembra che Wagner disprezza non solo si stessi ma anche le partigiane morte.
Angelo e Mario sono troppo giovani essere stati partigiani. Angelo nacque all’inizio della guerra e Mario nacque un paio giorni prima della fine, ma entrambi sono davvero fieri dei partigiani nelle loro famiglie. Zio Jacopo, il partigiano dalla famiglia di Angelo, non era in realtà uno zio ma un amico del suo padre che tutti lo chiamavano «zio». Mario ha avuto uno zio che fu ucciso nella guerra, ma nessuno sapeva con certezza se lui aveva combattuto con i partigiani o contro, e nessuno vuole sapere. Dopo la guerra, gli anziani di famiglia decisero che zio Aldo era un davvero eroe della lotta contro i tedeschi e fascisti, e insegnavano ai loro figli e nipoti a essere orgogliosi di lui.
– Non sai niente su Wagner. Era un compositore molto famoso.
– Lo so, lo so. Wagner è un compositore famoso.
– Hai mai ascoltato la sua musica? No, non mai.
– Non lo ascolto mai perché non mi piace!
– La sua musica non ti piace, ma l’hai mai sentita. Papà, non hai più senso!
– Perché sarei volere ascoltare la musica di quello spaccone?
– Almeno, se tu l’avessi ascoltato, potresti capire il motivo per cui il sindaco vuole che la statua rimanga nei Giardini Pubblici.
Angelo non risponde, che è un’ammissione silenziosa che la figlia ha ragione. Poi dopo padre e figlia si sono seduti a un pranzo di carciofi, insalata e farfalle con gamberetti, Carmelina torna al soggetto.
– Il mese prossimo una delle sue opere viene eseguita al Teatro La Fenice. Perché non vai?
– La Fenice? Non posso permettermi La Fenice! Sono in pensione.
– Papà, credo che ci sono biglietti economici per anziani, particolarmente se non si dispiace stare in piedi…
– Stare in piedi? Quello è pazzo! Quanto dura quest’opera di Wagner?
– Non lo so. Momento… – Lei consulta il giornale. – Aah! Non si può farlo. Parsifal dura cinque ore.
– Cinque ore? Scusami, ma mi dici che Wagner ha composto un’opera che dura cinque ore?
– Sì, ma con intermezzi…
– Con o senza intermezzi! – Spinge una mano aperta nell’aria. – Cinque ore sono cinque ore! Che spaccone! Che segaiolo!
Angelo conosce la storia del famoso compositore tedesco, dei suoi successi in Germania e della sua fama nel mondo, anche del suo famigerato antisemitismo, e che lui era un eroe per i nazisti. Conosce che Wagner fu morto a Venezia, a Ca’ Vendramin-Calergi, e crede erroneamente che sia sepolto nel cimitero San Michele. Ma della musica di Wagner, Angelo conosce nulla.
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Nonostante la difficoltà d’ottenere biglietti, Carmelina è riuscita a superare la sua resistenza e convincerlo che ascoltare Parsifal potrebbe cambiare la sua idea su Wagner. Ugualmente importante, lei ha ricordato suo padre, che lui non aveva mai messo piede nel teatro dell’opera, anche se è sicuramente l’obbligo di ogni orgoglioso veneziano di farlo. Prima questa sera, avevano cercato di capire la storia di Parsifal dalle note di programma, ma senza successo. Angelo ha confuso Klingsor con Gurnemanz e Amfortas, mentre Mario ha continuato a chiedere perché? La storia non aveva senso a lui.
Lasciate che la musica vi inondi, Carmelina ha consigliato, ma anche così, quando i due veneziani arrivano al teatro, sono più di un po’ ansiosi. Nel ridotto sono sorpresi che la maggioranza del pubblico non è italiana. Ci sono, naturalmente, molti tedeschi, ma anche americani, inglese e cinese, un segno che gli appassionati di Wagner vengono da dappertutto.
Per fortuna, non devono stare in piedi; hanno posti in fondo da dove non possano vedere il palcoscenico molto bene ma hanno una grande vista sul teatro: il bel proscenio, i turisti nella galleria, i borghesi nei loro palchi privati. Presto le luci si abbassano, e l’orchestra inizia a suonare l’ouverture: cinque ore di Wagner sono appena all’inizio.
La giornata dopo, i due cugini esausti, con gli occhi stanchi, la musica di Parsifal ancora si ronzando le orecchie, s’incontrano nel Bar Verdi in via Garibaldi. L’arroganza di Wagner e la sua mancanza di rispetto per i partigiani sono più di abbastanza di fare i due veneziani arrabbiare ma ora c’è qualcosa di ancora peggio: la sua musica.
— È la musica del clima tedesca! La musica dal buio tedesco! — dichiara Alberto, dopo avendo tracannato un altro spritz.
— È come una fitta nebbia — offre Mario. — Non si riesce a respirare. È soffoca tutto, come l’inquinamento.
— Perché ascolta Wagner, il sindaco? Non capisco.
— Non capsico come qualcuno possa ascoltarla! È priva di piacere, e priva di bellezza!
— Perché suonano musica come questa a Venezia? Venezia è bellissima, Venezia è piena di vita!
Alberto pensa a tutte le cose che ama su Venezia: la bella laguna, il modo in cui il sole brilla sull’acqua la mattina e i tramonti rossi sull’acqua la sera. Lui pensa alle bellissime chiese, ai meravigliosi palazzi, ai canali con gondole e piccole barche. (Anche i vaporetti, Alberto li trova belli!) E più, le case dipinti in colori vivaci a Burano, le pitture di Tintoretto e Bellini, il mercato di pesce a Rialto, gli anziani chiacchierando sulle panchine nel pomeriggio, e i bambini giocando in via Garibaldi la sera. Alberto pensa a tutte queste cose ma non può trovare nessun collegamento tra le belle cose di Venezia e la musica di Richard Wagner.
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È il cuore di una bella notte: luci danzano sull’acqua, un pesce schizza nella laguna. Venezia sta dormendo, solo la luna è sveglia, solo la luna d’argento può vedere le due figure vestito in abiti scuri, che appaiono all’improvviso nella Riva di Sette Martiri. Hanno un’aria innocente, eccetto che uno di loro ha un martello pesante sotto la giacca.
All’entrata dei Giardini Pubblici, Alberto sale sulle spalle del suo compagno. — Il mio braccio è più forte della tua, Mario — spiega — e la tua schiena è più forte della mia. Coraggio!
Entrano furtivamente, sperando di prendere il tedesco di sorpresa, e Wagner non sospetta nulla fino a quando Alberto, con solo un colpo, si rompe il naso! Alberto emette un grido di gioia e Mario scoppia a ridere. Wagner non è più il tedesco con la puzza sotto il naso, non ha più il naso!
Un po’ più tardi, trovano il naso rotto sulla terra e Alberto, con il suo braccio forte, getta il naso di Richard Wagner nella laguna. Affonda senza un suono.